L'ARDORE DI DVORAK E QUELLO DI AVERSANO

di Gian Mario Benzing 
Corriere della Sera – 1 dicembre 2016

Sfida al Titano dei Titani: il Quartetto della Scala, ospite delle “Serate Musicali”, lunedì in Conservatorio, ha  mostrato tutta la propria maturità espressiva affrontando una pagina epica, la Grande Fuga op. 133 di Beethoven.  Francesco Manara e Daniele Pascoletti ai violini, la viola di Simonide Braconi e Massimo Polidori al violoncello  (foto Sanfelici) si sono lanciati, dopo la Fuga K 546 di Mozart, nell’intrico di soggetti e controsoggetti, divertimenti e  oasi liriche, rendendo il galoppo beethoveniano veloce e affilato, la polifonia viva e vissuta, il canto radioso, specie  nell’accorato sol bemolle maggiore del “Meno mosso”. Nel più romantico Quintetto op. 81 di Dvorak, si è aggiunto  un partner ideale, Emilio Aversano. Il pianista salernitano è appena tornato da una delle sue “maratone”, forse  dalla più clamorosa: tre Concerti per pianoforte e orchestra più la “Wanderer Fantasie” di Schubert/Liszt eseguiti  nella stessa serata, prima a Budapest, poi nel “tempio” viennese, la Sala d’Oro del Musikverein. Raro exploit per  un pianista italiano, trionfare in una sede simile. Qui, nelle nostalgie e negli ardori di Dvorak, Aversano ha aggiunto  l’esatto garbo, la fluidità, la rotondità del timbro, il legame tematico, sempre fuso agli archi, di cui era via via il  corifeo, l’auriga, l’alter ego segreto. Gran successo e due bis: la Fuga K 387 di Mozart e “Salut d’amour” di Elgar.

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